La storia di Marina, una santa molto venerata in Libano ma poco conosciuta al di fuori del Medio Oriente, è davvero molto particolare. Marina nacque in una famiglia cristiana di umili origini, da genitori molto religiosi. Dopo la morte della madre, il padre decise di vivere insieme ai monaci basiliani, nel deserto ed affidò la piccola Marina a dei parenti. La tristezza di entrambi, dovuta alla lontananza, costrinse il padre, su consenso e desiderio della figlia, ad escogitare uno stratagemma per farla ammettere anch’ella in convento; fu così che raccontò all’egumeno (l’abate), che gli chiese motivo della sua malinconia, di avere lasciato un figlio a casa, il quale, tra l’altro, desiderava entrare anch’egli nel monastero. L’Abate, commosso dal racconto di Eugenio, che stimava e teneva in grande considerazione, acconsentì all’ammissione del figlio nel monastero.
Allora, tornato a casa, rasò i lunghi capelli della figlia, la vestì da uomo e le cambiò il nome in Marino, dopodiché si misero tutti e due in cammino verso il monastero. Nel corso del lungo viaggio il padre istruì la giovane quattordicenne nella lettura, le espose i comandamenti e la vita di Gesù, insegnandole tutto quello di cui avrebbe avuto bisogno per combattere le “insidie del nemico”; come ultima cosa si fece promettere dalla figlia che non avrebbe mai dovuto rivelare a nessuno la sua vera identità. Vissero così assieme, nella stessa cella, per tre anni, dopodiché Eugenio passò a miglior vita.
La giovane Marina, però, continuò in solitudine la vita monastica osservando meticolosamente i comandamenti e la dottrina impartitagli dal padre, progredendo di giorno in giorno in virtù, attraverso un’intensa attività di preghiera, meditazione e digiuno, diventando ben presto un esempio per tutti i confratelli e per questo fu amato dall’Abate più degli altri.
Ogni mese alcuni monaci, a turno, venivano inviati dall’Abate nei paesi vicini per svolgere affari economici e non di rado capitava che a metà del viaggio, con l’avvicinarsi della notte e sostassero in una locanda per recuperare le forze. Un giorno fu inviato anche fra Marino che, assieme agli altri confratelli, passò la notte, come di consueto, nella solita locanda. Il locandiere aveva una figlia che rimase incinta di un soldato che, casualmente, soggiornò nella locanda lo stesso giorno in cui soggiornarono i monaci. Fu così che la figlia del locandiere, istigata dal demonio, accusò di molestie fra Marino. I genitori della ragazza infuriati si presentarono al convento raccontando l’accaduto all’Abate che, incredulo, considerando la santità di Marino, lo fece chiamare per udire dalla sua bocca se le accuse mosse fossero vere. Inverosimilmente Marino non si discolpò ma, dopo aver pensato a lungo, si mise a piangere pronunciandole seguenti parole: “Padre, peccai, sono apparecchiato alla penitenzia”.
A questo punto l’Abate dopo averlo punito duramente lo cacciò. Marino, dunque, visse per tre anni di stenti nei pressi del monastero, giacendo per terra, piangendo ed affliggendosi per un fatto da lui non commesso, pregando e facendo penitenza con grande umiltà, non raccontando mai a nessuno dell’accaduto. Visse cibandosi di erbe selvatiche e accettando qualche elemosina. Dopo qualche tempo Marino, stanco e colpito al fisico dal continuo e duro lavoro, fu trovato morto nella sua cella, all’età di 25 anni. Fu così che scoprirono che in realtà Marino era una donna e tutti cominciarono a piangere e a battersi il petto per le ingiurie e le afflizioni che gli avevano fatto. Quel giorno il corpo, su ordine dell’egumeno, fu lasciato nell’oratorio per la devozione della gente. I giorni seguenti in molti, dei paesi vicini, accorsero al capezzale della santa che poco dopo fu seppellita all’interno del monastero.
Marina, insegnaci ad essere veri dentro e fedeli alla Verità. L’abito conta nulla; ciò che importa è il cuore ed un cuore fedele a se stesso.
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