I giovani che hanno partecipato al campo lavoro in Calabria a Isola di Capo Rizzuto (Kr) si raccontano e sono felici di aver dato un senso alla pausa estiva.
CHIARA BANFI
UBUNTU: Io sono perché noi siamo! Questo è la filosofia che ci ha accompagnato durante i dieci giorni di esperienza missionaria in Calabria, ad Isola Capo Rizzuto dove abbiamo vissuto un tempo di condivisione e servizio accolti a Le Cannella, località della parrocchia di Isola. Ma chi siamo? Una trentina di giovani e meno giovani, accompagnati da suor Elena, suor Lucia e suor Maria che hanno iniziato da alcuni mesi il cammino di preparazione ad un’esperienza di missione.
E che tipo di esperienza abbiamo vissuto ad Isola? Abbiamo sperimentato la bellezza e la ricchezza dello stare insieme vivendo con gioia i momenti di servizio in casa, dalle pulizie alla preparazione dei pasti per i nostri compagni di viaggio e l’importanza dell’incontro con l’altro, durante le visite ad anziani e malati, l’animazione con i bambini in spiaggia ed in particolar modo l’incontro con i migranti del CARA (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) di S. Anna (Crotone) e dello SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) di Isola.
Questi due luoghi hanno segnato fortemente tutti noi. Attraverso il gioco con i bambini, i pomeriggi passati a modellare la pasta di sale o a improvvisarsi sarte con le donne del centro, a cercare di imparare le regole del cricket con i giovani ospiti, a preparare un tiramisù con una mamma curda, ad aiutare un ragazzo a superare i test di scuola guida, abbiamo avuto la possibilità di avvicinarci a realtà che solitamente percepiamo attraverso lo schermo della tv. Qui invece abbiamo ascoltato racconti di vita, incrociato sguardi, toccato mani, ricevuto sorrisi che ora portiamo nel cuore e che hanno fatto nascere in noi domande e riflessioni, ci hanno provocato ed interrogato sul grande tema dell’integrazione e dell’accoglienza.
Tanto e tanto altro ancora ci sarebbe da raccontare, ciascuno di noi è tornato a casa più ricco, ora la sfida è portare questa esperienza nel quotidiano, cercando di trasmettere il bello di ciò che abbiamo vissuto e non dimenticando che l’integrazione si fa dalle piccole cose: “non chiudiamo gli occhi e le orecchie ma apriamo il cuore”.
MARIA ROSA BARBIERI
Una delle cose che mi ha maggiormente colpito nell'esperienza condivisa a Isola Capo Rizzuto è stata la capacità da parte delle Suore dell'Immacolata Concezione di organizzare, intuire e vedere quali sono stati i bisogni materiali, spirituali e umani di ognuno dei componenti il gruppo composto da una trentina di persone. Certo il pensiero per questo progetto di convivenza è nato tempo fa e suor Maria, suor Lucia e suor Elena sono state per noi non solo punti di riferimento, ma anche compagne di fatiche e gioie, e si sa poi che più la fatica è grande e più la gioia consola. Già averci fatto trovare al nostro arrivo un ambiente accogliente grazie alla disponibilità del parroco e dei parrocchiani non è cosa da poco. La casa è il luogo dove si condividono i momenti quotidiani del risveglio, della tavola e della convivialità e dove il gruppo ha sempre dovuto trovare nuovi equilibri grazie anche allo sguardo attento delle suore. Ho imparato da loro che bisogna pensare in grande e credere non solo nelle proprie forze, ma anche nella provvidenza: vivere senza risparmio e dando fino a quando non ce ne più. Con la loro sensibilità hanno saputo trovare le parole migliori per far capire quale fosse la cosa giusta senza far mancare lo spazio affinché ognuno potesse esprimere il proprio pensiero e anche se i momenti di condivisione sono stati un po' sofferti sono stati momenti indispensabili per guardarci dentro e dare un significato a quello che avevamo vissuto. Molti sono stati i piccoli o grandi imprevisti che ci hanno colti impreparati ma ai quali insieme abbiamo trovato le soluzioni. Il mio vuole essere un ringraziamento sincero per l'unicità di questa esperienza e un grazie per l'esempio che ci hanno dato di come vivere nell'amore e nell'attenzione verso l'altro che Gesù ci ha insegnato.
PASSERI MIRYAM
Questi 10 giorni sono stati importanti: per i sorrisi, gli abbracci, le nuove amicizie e la conoscenza di una realtà speciale, diversa.
Tante volte la televisione e i giornali presentano questa realtà, dei migranti, solo presentando gli aspetti negativi, tralasciando quelli umani.
Vivendo questa esperienza con loro, siamo riusciti a regalargli alcune ore di spensieratezza, e a loro volta ci hanno donato parole, le loro parole, le loro storie e parte della loro vita.
In poco tempo sono diventate persone preziose e amici importanti.
Un' esperienza così è difficile da spiegare, non si trovano mai le parole giuste per descriverla, bisogna viverla, bisogna diventare una cosa sola con essa.
Una cosa sicura è che si torna a casa diversi, con qualcosa in più, con il cuore pieno di ricordi e con la speranza di rivivere un'esperienza di questa intensità.
RICCARDO ANTOGNAZZA
È stata sicuramente un'esperienza di cui farne tesoro, che mi rimarrà impressa, che mi ha fatto crescere e riscoprire cose su di me e sul mio prossimo.
I primi giorni mi sentivo in difetto mi chiedevo, ma che c'entro io in questo gruppo di piccoli missionari?
I piccoli o grandi problemi quotidiani mi avevano un po' chiuso in me stesso è perciò anche spento quella fiamma di speranza, fratellanza, gioia.
Invece poi col passare dei giorni, conoscendo meglio il mio compagno di stanza, le altre ragazze, vedendo gesti di carità (anche piccoli come apparecchiare la tavola anche se non era di turno o pulire o offrire un dolce o preparare tavolate colossali o la bottiglietta d'acqua offerta dal migrante) e vivendo la missione nei vari aspetti piano piano ho iniziato ad aprire il "mio scrigno" e donare qualche monetina a qualcuno.
È stato tutto utile.
L'animazione in spiaggia ci ha permesso di affrontare un po' le nostre paure: chiedere, con sorriso nonostante la stanchezza, ai bambini o ragazzi (anche qualche teenager) di partecipare a qualche gioco tutti assieme ci ha permesso di farci prossimi, di metterci in discussione, di subire un no, ma senza accettare la sconfitta e soprattutto ci ha permesso di conoscere tante personcine che proprio loro ci permettevano di vincere delle nostre paure affidandoci a loro mentre si giocava. Non solo mi ha permesso di capire che anche un 17enne un po' altezzoso, menoso e scorbutico possa fare amicizia con altra gente sconosciuta più grande di lui dandogli anche il suo rispetto e partecipazione.
Per quanto riguarda i migranti…loro mi hanno insegnato ad aver speranza, ad avere forza, ma specialmente mi hanno fatto sentire il loro affetto, la loro fiducia in te… Come se fossi un loro amico, come se ci conoscessimo da una vita. Mi hanno insegnato che la vita è difficile, ma che forse davvero la speranza è l'ultima a morire. Mi hanno insegnato che lo sport salvifica.
Non dimentichiamoci, mi hanno donato sguardi, attenzioni, fiducia, rispetto, uguaglianza fraterna anche con quelli/quelle che non parlavano né inglese né altro, mi hanno donato la loro semplicità che nella tram tram di tutti i giorni si perde.
Poi il momento di condivisione: che gran rottura di scatole! D'altronde però come puoi vivere a pieno questa esperienza di crescita se non ti esponi? Forse avrei potuto farlo meglio e dedicare più tempo alla riflessione (cosa che ho fatto solo nei momenti prestabiliti e a volte a singhiozzo).
La messa mattutina con tanto di canto che penetra nel cuore...eh bella botta da gestire, però utile per meditare e darti il carburante spirituale (che avevo esaurito).
Infine il gruppo.. Che dire se non stupendo? Non sarebbe stato lo stesso se fosse mancato uno di questi componenti perché tutti mi hanno donato qualcosa, chi più chi meno, ma ho sentito il calore, l'affetto che tutti noi ricerchiamo smaniosamente. In quel caso però la ricerca non era affannata, se non in qualche piccola occasione, perché tutto l'amore che avevamo bisogno era lì a portata di mano, bastava avere il coraggio di aprirsi e mantenersi tale.
Complessivamente mi ha ridonato la forza e l'entusiasmo di credere, di credere in generale: nelle persone, in me stesso, nei sogni e un po' anche in Dio.
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